Su Siria e Isis
Il 22 marzo, a Milano, il segretario della Lega Nord ha dichiarato: “I russi non hanno paura. Contro l’Isis sono stati i primi a partire in Siria”.
Si tratta di un’affermazione falsa. La Russia ha, fin dall’inizio delle proteste in Siria nel 2011 e soprattutto con l’inizio della ribellione armata nel 2012, sostenuto il governo di Bashar al Assad. Non si sono tuttavia registrate operazioni dirette contro le roccaforti dello Stato Islamico, da parte di Mosca, fino all’intervento diretto nel conflitto del settembre 2015.
Prima del Cremlino erano già intervenuti gli Stati Uniti nel settembre 2014, alla testa di una coalizione internazionale di cui fanno parte tra gli altri anche Canada, Australia, Danimarca, Uk, Francia, Belgio, Olanda, Turchia e Giordania. Una coalizione simile aveva peraltro già iniziato ad operare contro l’Isis in Iraq, già da giugno dello stesso anno.
Non solo. Anche l’Iran aveva già cominciato a intervenire pesantemente in Iraq e in Siria – sia con mezzi propri che tramite la milizia sciita libanese, Hezbollah, fin dal 2013 – per contrastare l’espansione dello Stato Islamico.
L’intervento di Mosca è sicuramente più massiccio di quello statunitense, o almeno lo è stato finora, considerato il concentramento di truppe americane che Trump ha iniziato nell’area di Raqqa, in vista di un’imminente offensiva. Tuttavia non si può dire che sia stato il primo.
Bisogna infine menzionare l’opinione diffusa tra la maggioranza degli analisti di geopolitica che l’intervento russo abbia solo come obiettivo secondario lo sradicamento dell’Isis, avendo come obiettivo primario salvare il regime di Assad dalla minaccia dei ribelli siriani, su cui spesso ha concentrato i propri bombardamenti. Il dittatore siriano avrebbe addirittura rafforzato e sfruttato l’Isis in funzione anti-ribelle, almeno inizialmente, strategia che poi gli si è rivoltata contro.
A proposito di Libia
Ma i commenti di Salvini sulla politica estera russa non si sono limitati allo scenario siriano. Dopo il colloquio con Lavrov di cui si diceva, in un’intervista a Il Populista ha dichiarato: “Desta grande preoccupazione la situazione interna della Libia, attualmente fuori controllo. Prendo atto del fatto che anche in questo caso è la Russia a incontrare tutte le parti in causa, e a supplire all’incredibile assenza dell’Unione Europea e di tutte le altre organizzazioni internazionali”.
Anche in questo caso si tratta di affermazioni inesatte. Da un lato è vero che sia Haftar, generale che ha il controllo sulla Cirenaica, sia Serraj, presidente del governo internazionalmente riconosciuto che controlla parte della Tripolitania, si siano recati a Mosca. Dall’altro è falso che ci sia una “incredibile assenza” della Ue e delle organizzazioni internazionali.
Il governo di Serraj stesso è il frutto di una lunghissima mediazione tra diverse fazioni libiche portata avanti sotto l’egida delle Nazioni Unite. L’Unione europea è stata in prima fila nel sostenere questo sforzo e ha messo in campo quattro missioni per supportare le nascenti istituzioni libiche e la necessaria opera di State building.
Gli inviati dell’Onu poi – prima lo spagnolo Bernardino Leon, poi il tedesco Martin Kobler, ora dovrebbe toccare al palestinese Salam Fayyad (ma su di lui l’amministrazione Trump ha espresso contrarietà) – hanno costantemente tenuto i contatti con tutte le parti coinvolte, incontrando tanto il governo legittimo quanto il generale Haftar.
L’interessamento del Cremlino è abbastanza recente, successivo a quello della comunità internazionale tutta. Fino ad ora aveva, in sede Onu, appoggiato la mediazione internazionale da cui è nato il governo Serraj e riservato uno scarso interesse alla partita libica.
Secondo l’opinione dei maggiori esperti di Libia, anche se Haftar ottenesse le armi e il via libera politico per cercare di pacificare il Paese conquistandolo e soggiogandolo, non riuscirebbe a controllare l’area della Tripolitania, dove operano gruppi potenti a lui ostili, come ad esempio la milizia di Misurata. Senza contare che si troverebbe ad attaccare un governo nato, nonostante qualche manovra sottobanco di alcuni Paesi, grazie all’accordo di Europa, Stati Uniti, Russia e Paesi del Medio Oriente.(AGI)