Comunità Italiana

Scommettiamo che non cambia nulla?

Il recente scandalo delle scommesse può portare all’ennesimo di una lunga serie di sconvolgimenti più o meni grandi del sistema calcistico italiano. Ma è anche un’ulteriore occasione che abbiamo per fare le notre considerazioni sulla natura di quel mondo.

Altri scandali avevano scosso il calcio nostrano nel corso dei decenni. Scommesse di tesserati e non, accordi sotto banco fra Club, identità di giocatori rubate, arbitri corrotti. Tutto c’è già stato e niente non si è più ripetuto dopo essere stato scoperto la prima volta. Né la seconda, o la terza. E anche se in questo caso non si è ancora arrivati a stabilire la responsabilità delle Società, né forse mai lo si farà, è ormai chiaro che bastano le iniziative di singoli malintenzionati a creare il caos, a privare di affidabilità prima ancora che credibilità anche questo sistema.

In attesa degli sviluppi delle indagini e poi delle sentenze, è già possibile fare una riflessione tanto ovvia quanto inevitabile: il calcio non è che un ambito della nostra vita sociale e, come tale, non può essere immune dai vizi e dalle virtù che essa ha. Detto questo, qualsiasi cosa sarà dell’inchiesta poco importa. Potrà interessare ai tifosi delle squadre coinvolte, nella speranza che a differenza di quanto accaduto con Calciopoli gli inquirenti non si permettano di fare arbitrarie distinzioni, ma per tutti gli altri non ci sarà motivo di sollievo se anche i condannati finissero per essere meno del previsto. Resterà infatti la consapevolezza di un ambiente corruttibile, corrotto e quindi debole, esattamente come qualsiasi altro. Coi suoi pizzi, le sue pressioni, le sue bustarelle, i suoi interessi trasversali: la sua vita parallela. E i degni interpreti di tutto questo scempio.

Sarebbe anche opportuno che ad alcuni protagonisti del calcio –giocatori, dirigenti, tesserati o ex che siano– non venissero attribuite qualità particolari, eroiche, e che la loro eventuale straordinarietà fosse circoscritta all’ambito sportivo. Risultassero anche vittime di una gogna mediatica a sua volta dipendente dall’avventatezza comunicativa degli inquirenti, mi riesce difficile riconoscere illibatezza a scatola chiusa a certi giocatori solo perché sono i simboli di determinati Club. Con questo non penso nemmeno male a priori di loro, sia chiaro: mi limito a volerne verificare la pulizia, conscio del fatto che potrei anche non ritrovarla perché prima ancora che idoli sono persone. Quindi imperfetti. E’ qui che sta la differenza fra chi tifa e chi ha una visione più terra terra ma conseguentemente realistica di questo scenario: dire calcio è come dire industria, finanza, politica, religione. Dietro a tutto ciò –partite, contratti, accordi o dogmi che siano– c’è molto altro, ed è opera di semplici persone, con tutto quel che ne deriva.

In definitiva il calcio non è certamente tutto da buttare ma non ci si può nemmeno aspettare che sia immacolato e inattaccabile. Era chiaro già prima, ma questo nuovo scandalo dovrebbe aiutarci a esserne ancor più consapevoli. Sarebbe sufficiente prenderlo per quel che è: un crocevia di svariati interessi. E agli appassionati, questi ingenui sognatori al di là del bene e del male, a dispetto di ogni logica, non resta che preservare il proprio, ignorando qualsiasi cosa che comprovi il loro illusorio atteggiamento, convincendosi che i motivi di patimento possono venire anche da lontano, lontano dal campo e dai corridoi, e per motivi che solo casualmente hanno a che fare con la palla. Questa infatti è anche un mezzo, non importa quanto bene la si possa calciare.