Fallita la mediazione proposta dal capogruppo Luigi Zanda sui senatori eletti in un listino ad hoc, e rilanciata dal sottosegretario Pizzetti e dal ministro Martina (che torna ad invocare l’unita’ del partito), si riaccende oggi lo scontro interno al Pd sulle riforme: la minoranza dem, come spiega Gotor in un’intervista, non ha nessuna intenzione di cedere di un millimetro, mentre la maggioranza ostenta sicurezza e tira dritto. Anzi, proprio i dati forniti oggi dall’Inps sugli effetti del jobs act forniscono lo spunto al premier e ai renziani per rivendicare l’importanza delle riforme, unica strada per aiutare il Paese ad uscire dalla crisi, mentre altri si dedicano a produrre “valanghe di emendamenti”, e’ il commento del vice segretario Lorenzo Guerini. Lo stesso Matteo Renzi, nel sottolineare i risultati ottenuti grazie alla riforma del Lavoro, liquida le tensioni interne e le richieste della sinistra Pd con un laconico “tutto il resto e’ noia…”, prendendo in prestito dal Califfo il titolo di una sua vecchia canzone. “L’Italia riparte, con buona pace di chi si augurava il contrario”, aggiunge il presidente del Consiglio. Ma sono le parole del vicepresidente del partito, Matteo Ricci, a surriscaldare ulteriormente il clima. Ricci non offre altre vie d’uscita all’approvazione delle riforme: “Non mandarle avanti – mette in chiaro il vice presidente del partito – significa mettere termine a questa legislatura, lo sanno tutti”. E rivolgendosi direttamente alla minoranza Pd, Ricci spiega: “Vedremo a settembre al Senato chi vuole davvero cambiare il Paese e chi invece no. Alla minoranza Pd dico che il popolo della sinistra non vuole un Paese immobilizzato, la vostra battaglia e’ assurda”. Insomma, Ricci e’ categorico: “Tornare indietro e’ difficile, vedremo se ci potranno essere ulteriori elementi di mediazione, ma non si puo’ stravolgere il testo e giustamente Renzi su questo non arretra perche’ sarebbe una riforma monca”. Il senatore della minoranza, Federico Fornaro, invita pero’ il premier a “non ascoltare i cattivi consiglieri, e apra al Senato elettivo”. In questo modo, garantisce Fornaro, “si approverebbero le riforme con una larghissima maggioranza”.
Alla battaglia della minoranza dem si aggiungono anche le opposizioni, con i 5 Stelle che insistono sul dimezzamento del numero dei senatori, eletti direttamente dal popolo. Sel, con Arturo Scotto, esorta il governo a non occuparsi di una materia che e’ prettamente parlamentare: “i renziani sotto l’ombrellone leggano un manuale di diritto costituzionale”. Ma e’ soprattutto Forza Italia, i cui voti a palazzo Madama sarebbero determinanti per approvare il ddl Boschi senza la minoranza dem, a dettare le condizioni: “Noi ci siamo se c’e’ il Senato elettivo e il premio di maggioranza alla coalizione”, dice Daniela Santanche’. E il capogruppo Renato Brunetta precisa: qualsiasi intesa va fatta “alla luce del sole” e “senza intermediari”. Ebbene, se “Renzi dichiara subito questa volonta'” FI e’ pronta a votare le riforme, ma sia chiaro servono “aperture sostanziali di Renzi”. Ovvero, puntualizza ulteriormente Il Mattinale, “il metodo non sara’ mai piu’ quello del patto del Nazareno, con i due forni di Renzi”. Area Popolare, con Gaetano Quagliariello, non nega che al Senato “i numeri ballano”, e cosi’ invita la maggioranza a guardare ai voti non solo di FI, ma anche dei tosiani e dei fittiani: “serve un accordo istituzionale, non un compromesso politico”. Fitto, pero’ chiude la porta: “per noi la via maestra e’ l’abolizione secca del Senato o, in alternativa, un Senato eletto direttamente. Intanto, il Senato fa sapere che il 24 agosto gli oltre 513 mila emendamenti al ddl Boschi saranno pronti per la tipografia. (AGI) .