Era appena stato eletto nello schieramento di centrodestra che sostiene Musumeci. Avrebbe messo in piedi una vera e propria associazione a delinquere per evadere un milione e 750mila euro. Altri 8 denunciati a piede libero
Una bufera politica si abbatte sulla nuova geografia politica siciliana venuta fuori dal voto di domenica perché a Messina, due giorni dopo lo spoglio, è finito agli arresti domiciliari uno dei 70 deputati appena eletti, Cateno De Luca, 5.418 voti conteggiati nelle file dell’Udc.
Titolare di alcune aziende edili a Fiumedinisi, il paesino dove era sindaco e dove era stato già arrestato tre anni fa per appalti sospetti, De Luca è accusato stavolta per una storia di fatture false prodotte con un meccanismo di scatole cinesi finalizzato ad evadere le tasse per un milione e 750 mila euro.
Il tutto insieme a un complice, Carmelo Satta, anch’egli ai domiciliari.
Lo spogliarello a Palazzo dei Normanni
La Guardia di finanza ha notificato il nuovo provvedimento all’alba su disposizione della Procura di Messina diretta dal neo procuratore Maurizio De Lucia.
«Stavolta non si potrà parlare di bomba da orologeria», si limita a commentare l’aggiunto Sebastiano Ardita.
L’inchiesta era infatti già definita nelle scorse settimane, quando De Luca faceva campagna elettorale per rientrare a Palazzo dei Normanni, nella sede del parlamento siciliano dove aveva avuto un suo momento di notorietà nel 2007 mettendo in scena uno spogliarello di protesta contro l’allora presidente dell’Assemblea regionale Gianfranco Miccichè che aveva deciso di estrometterlo dalla commissione Bilancio.
Avvolto solo da una bandiera sicula mostrò in aula i tre regali per Miccichè: un piccolo Pinocchio «per le bugie che ha detto sulla commissione», una coppola «perché ho subito un sopruso mafioso» e addirittura una Bibbia tesa allo stesso Miccichè «per convertirsi ai sani principi della politica».
E sul profilo Facebook continuava a descriversi come vittima: «Su di me parlano i fatti».
Candidato a sindaco di Messina
Stavolta era pronto per il grande ritorno all’Ars con il centrodestra ricompattato proprio da Miccichè, il leader azzurro bersagliato per settimane sulla presenza nelle liste di tanti «impresentabili».
De Luca, pur con la richiesta di condanna a 5 anni per il primo processo, aveva comunque deciso di sfidare tutti, proponendosi addirittura come candidato per la prossima tornata elettorale sullo Stretto, deciso a sostituire l’uscente Renato Accorinti come sindaco di Messina.
Progetti adesso ostacolati dalla nuova mazzata che blocca la sua carriera e ripropone ombre imbarazzanti su Palazzo dei Normanni.
Altri 8 indagati
Le indagini ruotano attorno a un reticolo societario che ha al vertice un raggruppamento di imprese, la Fenapi (Federazione nazionale autonoma piccoli imprenditori), in collegamento con un’altra «scatola», la Caf Fe.Na.Pi srl, riconducibile secondo gli inquirenti, direttamente o indirettamente, a De Luca e Satta.
Il primo direttore generale di Fenapi, il secondo presidente nazionale della Federazione con sede a Roma in corso Italia, sede inaugurata nell’aprile 2017 con un convegno dal tema emblematico: «Etica del lavoro e famiglia».
Lo schema prevedeva, stando all’accusa, la creazione di costi inesistenti, trasferendo materia imponibile dal Caf alla Federazione, in virtù del regime fiscale di favore applicato a quest’ultima. Di qui un presunto notevole risparmio di imposta.
Oltre a De Luca e Satta, sono state denunciate a piede libero altre otto persone.
Disposto anche il sequestro preventivo di somme e beni fino all’ammontare dell’indebito risparmio di imposta, sia nei confronti degli arrestati che nei confronti della società Caf.
La polemica politica
Esplode la polemica politica sull’arresto di De Luca, deputato di “Sicilia Vera”, eletto sotto le insegne Udc.
Polemica che si abbatte su un pezzo della coalizione del neo eletto governatore Nello Musumeci. Con Beppe Grillo pronto a tuonare via Facebook: «Non sono passate manco 48 ore e… taaac: primo arrestato negli eletti di Musumeci».
Prova a replicare l’Udc assicurando con una nota dell’ufficio stampa nazionale di aver avuto «la massima diligenza nella formazione delle liste elettorali a tutela del partito e dei cittadini-elettori».
Ed ancora: «Abbiamo chiesto a candidati e movimenti associati, tra cui anche ‘Sicilia Vera’, il certificato del casellario giudiziario e quello dei carichi pendenti a tutela dei cittadini e della onorabilità del partito».
Risibile spiegazione per il diretto avversario di Musumeci, il deputato regionale M5s Giancarlo Cancelleri, arrivato secondo con 5 punti di distacco, deciso nel rilanciare la sferzata di Grillo: «Da oggi la maggioranza di Musumeci si regge su un arrestato ai domiciliari per evasione fiscale. Senza di lui infatti la maggioranza non c’è.
De Luca dovrebbe avere la dignità di dimettersi subito assieme a tutti gli altri impresentabili eletti. Musumeci chieda scusa ai siciliani per quest’onta indelebile».
Molto dura anche la presa di posizione di uno degli esclusi eccellenti dalla corsa a Palazzo dei Normanni, il presidente uscente dell’Assemblea regionale Giovanni Ardizzone bloccato, nonostante i suoi 8 mila voti, dal mancato superamento del 5 per cento di sbarramento dei centristi di Alfano e Casini. Penalizzato anche dal successo del giovane Luigi Genovese e dello stesso De Luca, Ardizzone contrattacca ricordando la sua battaglia in parlamento: «La notizia dell’arresto del primo deputato eletto non mi meraviglia.
Purtroppo avevo chiesto, inutilmente, che i partiti verificassero gli impresentabili, gente nota all’opinione pubblica, che non risparmia nessun partito.
I partiti avevano questo dovere, ma i candidati presidenti dovevano avere la forza e il coraggio di imporre ciò nella formazione delle liste.
In questi anni ho tenuto lontana dal Palazzo la mafia, che c’è e resiste e, purtroppo, è tornata.
Perché la corruzione è mafia.
Mi auguro che Musumeci, che ne ha le qualità, sappia resistere alle sollecitazioni che gli impresentabili sicuramente gli faranno.
Se, per necessità, Musumeci si è fatto carico in queste elezioni del loro voto, una volta eletto, dovrà avere il coraggio, che non gli manca, di tenerli fuori». (Corriere)