Nessuna rivendicazione, ma si pensa agli estremisti al Shabab
L'esplosione è stata violentissima. Ha distrutto un'ala dell'albergo e fatto saltare in aria, a decine di metri di distanza, tutte le auto aprcheggiate nel cortile interno. Attorno all'hotel Shamo, situato tra i quartieri k-4 e k-5, nel cuore della parte sotto controllo del Governo di transizione federale (Tgf) a Mogadiscio, sono sparpagliati lamiere contorte, sassi, blocchi di cemento, pezzi di ferro e vetri. Tutta la zona è avvolta da una coltre di fumo, tra i lamenti dei feriti. A terra ci sono decine di persone che si ha difficoltà a identificare. All'interno dell'albergo la situazione è ancora più grave: tre ministri sono morti. Si tratta del ministro dello Sport Sulheiman Olad Roble, quello della Sanità Qadar Aden e quello dell'Educazione Ibrahim Addow. Tutti e tre, assieme ad altri esponenti del governo, avevano da poco iniziato una riunione dedicata all'emergenza sanitaria. La responsabilità dell'attentato non è stata ancora rivendicata. Ma tutti, a Mogadiscio, sanno benissinmo che porta la firma degli al Shabab, l'organizzazione di estremisti islamici legata ad Al Qaeda.
L'azione è stata clamorosa. Nonostante l'inferno quotodiano che si vive a Mogadiscio, l'area dove si trova l'albergo Shamo è considerata sicura. Ufficialmente è sotto il controllo delle forze del Governo di transizione federale. Ma nei fatti non è così. Dopo settimane di violentissimi scontri tra le due milizie degli al Shabab e di Izbu al ilsam, i primi hanno preso il sopravvento e adesso controllano indisturbati tre quarti del territorio del Paese. La stessa Mogadiscio, mi raccontava un deputato che era a Roma per seguire il vertice della Fao, è divisa in due zone ben distinte. Il Governo tenta di essere presente, con i suoi ministri che fanno la spola con Nairobi dove riprendono fiato e cercano di riannodare i fili di una trattativa difficile se non impossibile.
Gli unici soldati che si oppongono alle milizie dei radicali islamici sono quelli della Amisom, la forza di pace dell'Unione africana. Hanno cambiato le regole di ingaggio, adesso reagiscono agli attaccchi che si susseguono quotidianamente. Si tratta di seimila soldati spediti a Mogadiscio dal Burundi e dall'Uganda. Ma hanno funzione di peacekeping e non sono in grado di sostituire un esercito di un governo che ormai esiste solo sulla carta. Quelli addestrati nei paesi limitrofi vengono trasportati a Mogadiscio… Ma appena arrivati in città sono abbandonati a se stessi. Con una divisa, un'arma ma senza cibo e stipendio. Così, ci raccontava il deputato, finiscono per essere arruiolati da chi li paga: gli al Shabab.
Con la morte dei tre ministri e probabilmente di altre decine di addetti alla sicurezza o di semplici passanti, la Somalia sprofonda ancora di più nell'inferno che vive dal 1991. Senza una soluzione praticabile all'orizzonte, con le bande dei pirati che controllano tutte le coste e tratti di oceano fino a 800 chilometri al largo e la prospettiva che il Paese diventi la base operativa e organizzativa della rete di Bin Laden.
Fonte: www.repubblica.it