{mosimage}La vita moderna ci obbliga ad apparire diversi da come siamo
Non pensino i maliziosi che voglia censurare le passeggiate dei maschietti che, in sgargianti e ridotte vesti femminili, borsette al vento, adornano il paesaggio urbano offrendo ai passanti le loro grazie, e ciascuno immagini quali a seconda dei suoi pruriti. Parlo di travestiti seri. Il pollice verso di Nerone non fu sufficente a sterminare la stirpe dei gladiatori. Negli anni essi si moltiplicarono, tanto che oggi, nei pressi del Colosseo, ve ne sono centinaia e non c’è più spazio per le nuove leve. E quando nuovi gladiatori appaiono sono botte all’ultimo sangue, molto più pittoresche di quelle di due millenni fa.
Anche oggi, come ieri, il trofeo è la sopravvivenza: allora era la vita, oggi è la cinesina che vuole essere immortalata con il panciuto, sudato e poco convincente gladiatore romano e paga la tariffa di 20 euro per foto, garantendo cosí la pagnotta giornaliera, ben farcita, al vincitore. Il gladio di latta, l’elmo giallo-rosso e lo scudo di plastica evitano la carneficina e il vincitore, tronfio come un gallo, orgoglioso di aver difeso il suo spazio minacciato, controlla la fuga degli usurpatori alla ricerca di luoghi meno battuti dalle giulive cinesine. Quella vaga aria felliniana che si respira a Trastevere, il dolce ponentino e il buon Frascati, quando è buono, sembrano incoraggiare il visitante a celare la sua vera natura e apparire migliore, o comunque diverso. Cosí che i peccatori più incalliti si mischiano con i devoti e vanno, la domenica mattina, a farsi benedire in piazza San Pietro e vogliono, non importa il sacrificio e la fatica, prostarsi di fronte alla tomba di Papa Wojtyla. Senza pentirsi. Il trasformismo più stupefacente è quello dei pagliacci.
Un tempo, quando c’era logica nelle cose, gli esseri umani si travestivano da pagliacci per divertirsi e divertire, un’ora o tutta una vita, a seconda del carattere. Oggi tutto gira al contrario e i pagliacci si travestono da politici, frequentano i palazzi del potere, governano e fanno decreti che i sudditi, poveracci o travestiti da poveracci, subiscono o aggirano quando possono. Roma sembra essere il palco perfetto per questa sceneggiata. Vedendolo e ascoltandolo, l’homo politicus sembra una persona serissima. Giacca e camicia impeccabili, cravatta elegantemente annodata, sa parlare ed essere convincente. Con alcune eccezioni, naturalmente: per esempio Bossi e i suoi legionari, ruspanti e sbracati nel linguaggio e nell’abbigliamento. L’homo politicus, occhio sfuggente per la vergogna, riesce a convincere che la sua missione è il bene del Paese. Poi, visti i risultati, ci rendiamo conto che ciò che conta per lui è la supremazia del suo gruppo politico, garanzia di poltrone ben remunerate. Non importa quanto bislacche e nocive siano le sue idee. Questi signori, si fa per dire, sono intelligentini; sembra impossibile che sfornino le scemenze che leggiamo sui giornali e scartino le opzioni serie che farebbero bene all’Italia. È la moderna commedia dell’arte, giacca e cravatta al posto delle nostre gloriose vecchie maschere. Ma forse il mondo di oggi esige che ci si travesta. Dei vigliacchi black bloc vediamo solo gli occhi. Potremmo persino capirli se affrontassero a viso aperto la polizia: non mi sta bene il mondo in cui vivo e quindi lotto contro uno strumento del potere. Nascondersi è viltà: tiro il sasso e nascondo la mano.
Vi sono poi le musulmane ortodosse che si travestono da spaventapasseri.
Sotto quel burka ci può essere chiunque: una femmina sottomessa, mio nonno o un ET. Non lo sapremo mai. I dubbi sono angosciosi. Potrà sedersi al bar? Come farà ad andare in bagno? Come potrà bere un caffè? Mistero. Il sindaco Pisapia vuole aprire una moschea in ogni quartiere di Milano. Quegli enigmatici esseri prenderanno coraggio e la Galleria si popolerà di cilindri con fessura per gli occhi e targa di riconoscimento sul didietro, di futura adozione. Armani disegnerá il burka made in Italy, con cristalli Swarovski. Ma non stupiamoci: in fondo ci travestiamo un po’ tutti quando vogliamo apparire quelli che non siamo. Cioè spesso. È una delle regole del manuale di sopravvivenza nella giungla moderna.