L’Unione Europea deve avere il coraggio di far seguire l’integrazione monetaria da una vera unità politica ed economica
All’indomani del secondo conflitto mondiale, quando ancora le strade di mezza Europa erano piene di macerie e si contavano i milioni di morti in guerra, nessuno avrebbe creduto che, a distanza di pochi anni, i leader di quegli stessi Paesi, che fino a poche settimane prima si erano aspramente combattuti, avrebbero firmato insieme il “Trattato di Roma”: siamo nel 1950 e con quello storico accordo si posero le premesse di quella che tuttora conosciamo come Unione Europea.
La storia della costruzione dell’Europa ha forse avuto nell’introduzione della moneta unica, l’Euro, il suo momento più rilevante: questo nuovo millennio ha visto il sorgere di una nuova moneta che, da un giorno all’altro (anche se a seguito di un complesso e graduale processo di omogeneizzazione dei sistemi economici), ha sostituito le vecchie lire, i fiorini, i marchi, i franchi o le pesetas.
Una vera e propria rivoluzione, accompagnata dall’entusiasmo della popolazione europea e seguita con interesse e con ammirazione da tutto il resto del mondo.
Oggi, a distanza di poco più di un decennio da quel traguardo storico, sono sempre meno rare le voci di coloro che mettono in discussione questa conquista, ammiccando nostalgicamente alla Lira o alla Dracma, alla Peseta o al Franco.
Un ‘ritorno al passato’ giustificato, secondo alcuni, dalle accresciute e diffuse difficoltà dell’economia europea e, in particolare, di alcuni suoi Paesi; un passo indietro, che però risulterebbe una medicina ancora peggiore del male, con conseguenze immediate e non sempre prevedibili sulla precaria stabilità economica di quegli stessi Paesi.
La mia opinione è che stiamo confondendo il malato con la malattia, se non addirittura la medicina con la cura.
La crisi europea si affronta infatti con “più Europa” e non “meno Europa”; se un errore è stato fatto a suo tempo è, a mio parere, proprio quello di non aver fatto seguire l’introduzione della moneta unica europea da una parallela azione di forte integrazione politica tra i Paesi dell’Unione.
Un’integrazione reale, basata non soltanto sui famosi ‘parametri di Maastricht’, ma anche sull’elezione di un Presidente europeo votato direttamente, e democraticamente, dagli oltre 300 milioni di cittadini europei.
Un’Europa più unita e più coesa avrebbe impedito, ad esempio, che ad imporre il proprio peso politico sulle decisioni dell’Unione fossero i Paesi più grandi, ed in particolare uno – la Germania – l’unica nazione che ha effettivamente tratto un vantaggio specifico dall’introduzione dell’Euro.
Un’Europa forte e unita politicamente sarebbe senza dubbio meno in balìa dei mercati e delle speculazioni finanziarie; risponderebbe infine più alle esigenze di crescita e di sviluppo di ciascun Paese (e, di conseguenza, di maggiore occupazione e benessere sociale) che non alle sterili logiche di riduzione progressiva della spesa pubblica e del contenimento del rapporto debito/PIL: tutte politiche che hanno avuto come conseguenza l’avvio della più grave fase di recessione mai vista in questa parte del mondo dal dopoguerra ad oggi.
In questa nuova logica politica, l’Unione Europea dovrebbe avviare un rinnovato rapporto con i Paesi dell’America Latina, e in particolare con la sponda meridionale dell’Atlantico che in qualche modo costituisce una proiezione del Vecchio Continente sul Nuovo Mondo, anche grazie alla presenza in quei Paesi di fortissime comunità di origine europea, prima tra tutte quella italiana.
Un rapporto paritario, che contribuirebbe probabilmente a rafforzare gli investimenti e tutti quei programmi rivolti ad associare le politiche di rigore a quelle di rilancio dell’economia.
Poche settimane fa le elezioni in Francia hanno dato un duro colpo al modello di un’Europa “tutta rigore ed austerità”, sconfiggendo il conservatore Sarkozy ed eleggendo il socialista Hollande; l’asse franco-tedesco ne è così uscito indebolito, e ciò ha contribuito ad alimentare qualche fondata speranza tra i fautori della costruzione di un nuovo modello politico-economico, meno succube dei mercati e più propenso all’introduzione di nuovi strumenti di politica economica e monetaria a livello europeo.
Entro la fine del 2013 anche Italia e Germania andranno a votare: la nostra speranza è che anche qui venga premiata la strada della speranza, contro quella della nostalgia e della paura.