In queste settimane, di botto, si è scatenato il cosiddetto valzer delle panchine. Alcune sono già saltate edi altre è facile intuire che cambierannopiù o meno a breve. Il fenomeno, c’è da dire, non riguarda solo l’Italia e la confermala si può avere pensando proprio adalcuni nostri tecnici impegnati all’estero.
Guardando al nostro movimento, vanno lasciate da parte le prevedibili vicende che riguardano le panchine dei Club meno forti, fatalmente legati a scosso niche possano cambiare la stagione via via che questa avanza, col miraggio della salvezza. Quel che colpisce è piuttosto la piega che hanno preso molte fra le Societàpiù solide, la cui gestione ha subítouna brusca sterzata rispetto a un passatonemmeno troppo lontano.
Qualche tempo fa era stata la volta niente meno che dell’Inter. Aveva divorziatodall’esperto e ultravincente Benitez per affidarsi a un tecnico quasi di primo pelo come Leonardo, il tutto nel giro di poco più di sei mesi, da quando Mourinho avevavinto, incassato, più o meno ringraziato e salutato tutti. In un Club che sembrava essersi finalmente liberato della sindrome da allenatore che l’aveva afflitto per una quindicina d’anni, è venuta a crearsi una situazione di difficile lettura e di ancor più difficile controllo. Seguendo la scia dellaSocietà, schiere di commentatori e tifosisono caduti nell’errore di giudicare un allenatore che ha alzato trofei di ogni tipo nel corso di appena 15 stagioni per i soli pochi mesitrascorsi a Milano.Difficile non sorridere. Così come difficile era stato non definire avventata la sostituzione di Mourinho col suo rivale numero uno. Fatto sta che neppure l’ottenimento di vittorieagognate per quasi mezzo secolo è riuscitoa infondere serenità nell’ambiente.
All’Inter sta accadendo qualcosa di molto, troppo simile a quanto è successo nell’ultimo Real Madrid di Florentino Perez e daqualche anno più accade al Chelsea di Abramovic.Con riferimento ai londinesi, arrivati finalmente soldi a palate in un Club che aveva appena ricominciato a vincere dopo un’astinenza di cinquant’anni, d’un tratto si è preteso di tenere un ritmo di affermazioni che nessuno ha. E più o meno a ogni inciamposi è fatta piazza pulita, liberandosi di allenatori del calibro di Mourinho e Scolari, col rischio che il prossimo sia Ancelotti.Dati i presupposti, c’è da chiedersi come possa anche solo pensare di far fuori chi,oltretutto al primo tentativo, ha appena conquistato la prima accoppiata campionato-coppa in 105 anni di storia… Fattosta che Carletto sembra destinato alla sua amata Roma, che nelfrattempo ha sacrificato Ranieri sull’altare deldio Totti come se le vicende legate al cambio di proprietà non fosserogià sufficientemente destabilizzanti… D’altraparte lo stesso era successo con Spalletti, che al momento si stagodendo una meritatae gratificante parentesi russa in attesa magaridi tornare in Italia per guidare questa volta la Juventus.
La Torino bianconera, a proposito, sta vivendo l’ennesima annata nera. Da Calcio poliin poi ha fatto sempre peggio e viene da pensare che questo crollo verticale sia in realtà un processo autodistruttivo studiato a tavolino esattamente come la resa incondizionatadavanti ai giudici nel 2006. L’avvicendamento forse soltanto di facciata alla Presidenza e una serie di cambi di panchina che non si era visto in più di un secolo hanno fatto il pari con un esborso di quattrini senza precedenti. Dalla risalita in Serie A, il gruppo è stato praticamente smembrato e rifondatoogni stagione e gli ultimi dati pubblicati indicano che a oggi il saldo fra acquisti e cessioni– ingaggi a parte – è in negativo di ben 130 milioni di euro. La beffarda aggravante èche i tantissimi ex della Juve stanno facendo benissimo ovunque siano andati e oltretutto quando la incontrano le fanno spesso male.
Tutto questo porta alla conclusione che molti degli attuali padroni dal calciosi stanno comportando da arricchiti. Non c’è quasi più traccia della cultura sportivache ha animato generazioni di dirigenti più o meno vincenti ma comunque dal carattere inconfondibile, apprezzabili già perquesto. Checché si dichiari, oggi non c’è lo straccio di un progetto. Non si semina per raccogliere e se le cose non vanno non le si aggiustano ma si comprano pezzi di ricambio.Se però in Paesi emergenti anche dal punto di vista calcistico è comprensibile chelo sviluppo possa prendere quest’illusoria scorciatoia, stona decisamente vedere tanta poca classe e lungimiranza in una terra che di pallone vive da lunghissimo tempo. E non può non saltare all’occhio che di scorciatoia,poi, non si tratta. Perché buttar giùtutto per ricostruire daccapo, ancora unavolta senza fondamenta, non condurrà maia nulla. Di buono, s’intende.