La morte della studentessa Melissa Bassi a Brindisi riapre due ferite mai rimarginate: mafia e terrorismo
Venti anni fa l’Italia viveva uno dei periodi più bui della sua storia repubblicana: nell’arco di soli due mesi, tra il mese di maggio e quello di luglio del 1992, la mafia uccideva i due giudici-simbolo della lotta a “Cosa Nostra”, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
Le stragi di “Capaci” e “Via D’Amelio” (questi i nomi della località nei pressi di Palermo e della via del capoluogo siciliano dove si verificarono le due mortali esplosioni) furono infatti molto più che due ‘semplici’ omicidi di mafia.
Questo a causa dell’inaudita ed inedita efferatezza dei due attentati, per i quali venne usato un quantitativo pari a quasi una tonnellata di tritolo; per la cinica e spietata furia omicida dei mafiosi, che oltre a Falcone e Borsellino uccisero ben nove componenti delle rispettive scorte; infine per l’altissimo profilo simbolico dei due magistrati, che in quegli anni rappresentavano di fatto l’ultimo baluardo di legalità e giustizia dello Stato di diritto nella lotta contro la mafia.
Allora, come oggi, la politica italiana viveva un momento di scarsa credibilità a causa del “ciclone mani pulite”, un’operazione giudiziaria che nel giro di un paio d’anni contribuì in maniera determinante a smascherare il fitto intreccio tra partiti politici ed affari. Allora, come oggi, la guida del governo venne affidata ad un cosiddetto “tecnico”, l’ex Governatore della Banca d’Italia Carlo Azeglio Ciampi. Allora, come oggi, un terremoto politico aveva praticamente cancellato i vecchi partiti, ed un referendum sulla legge elettorale segnò definitivamente il passaggio dalla Prima alla Seconda Repubblica.
Da quel 1992 ad oggi sono trascorsi venti anni, i venti anni della Seconda Repubblica, segnati dai governi guidati dal centrosinistra con Romano Prodi e – prevalentemente – dai quattro governi di centrodestra affidati all’indiscussa, anche se controversa, leadership di Silvio Berlusconi.
Eppure, a distanza di vent’anni, non sono ancora stati chiariti tutti i misteri legati alla morte di Falcone e Borsellino, nonostante sia sempre più evidente che dietro all’azione della mafia c’erano delle chiare complicità di carattere politico e istituzionale.
Venti anni non sono bastati a rendere giustizia alle vittime delle stragi di Capaci e Via D’Amelio, anche se in questi vent’anni la coscienza dei siciliani e di tutti gli italiani è cresciuta proprio grazie al sacrificio di Falcone e Borsellino, veri e propri eroi del nostro tempo.
Forse è anche a causa di questa coscienza collettiva che, a seguito della morte di Melissa Bassi, la ragazza sedicenne morta a Brindisi a causa di una bomba esplosa davanti ad una scuola intitolata a Francesca Morvillo (la moglie di Giovanni Falcone), i giovani italiani di tutte le scuole si sono immediatamente mobilitati per dire il loro “NO” alla mafia e al terrorismo.
Mafia e terrorismo, due piaghe antiche che in epoche diverse hanno segnato il nostro dopoguerra. Se la cieca violenza dei terroristi ebbe negli anni ’70 il suo momento di massima determinazione e visibilità anche internazionale (basti ricordare al rapimento e l’assassinio di Aldo Moro nel 1978), saranno i primi anni ’90 a segnare l’apice della violenza mafiosa in Italia.
L’Italia di oggi, alle prese con la più dura crisi economica della sua storia democratica, deve così fare i conti anche con il possibile risorgere di questi due fenomeni, mai definitivamente sconfitti: mafia e terrorismo.
L’attentato contro i ragazzi della scuola “Francesca Morvillo” di Brindisi ci ricorda che gli anticorpi contro questo pericolo risiedono proprio lì, dentro le mura delle nostre scuole.
“La mafia – diceva il giudice siciliano Antonino Caponnetto, che potremmo considerare il “padre spirituale” di Falcone e Borsellino – teme più la scuola della giustizia; la mafia prospera sull’ignoranza della gente, sulla quale può svolgere opera di intimidazione e soggezione psicologica: solo così la mafia può prosperare”.
Dalla scuola, ovvero dalle giovani generazioni italiane, può partire il riscatto di un Paese provato dalla crisi economica e spaventato dal possibile ritorno della violenza del terrorismo e della delinquenza organizzata. Una riscossa civile della quale abbiamo tutti bisogno, a partire dai politici.