Comunità Italiana

Venti di crisi

Enrico Letta, come Romano Prodi, paga la maledizione di una legge elettorale sbagliata e dannosa

Ancora una volta l’Italia sembra precipitare nel ‘buco nero’ dell’instabilità politica. Molti ricorderanno la breve e tormentata vicenda dell’ultimo governo di Romano Prodi, costretto a rinunciare dopo meno di due anni dalle elezioni del 2006 a causa di una famigerata legge elettorale approvata dalla maggioranza di centrodestra sul finire della precedente legislatura.
Una legge elettorale diabolica, ideata per non consentire a quel governo (allora in testa in tutti i sondaggi) di conquistare una omogenea e parallela maggioranza alla Camera e al Senato.
Nel 2008, com’è noto, a vincere fu la coalizione di centrodestra; anche in questo caso, nonostante la maggioranza fosse più ampia di quella conquistata nel 2006 dal centrosinistra, i problemi non mancarono e Berlusconi dovette ricorrere al voto di un gruppetto di parlamentari che passarono dalle file dell’opposizione a quelle della maggioranza per tenere in vita il suo governo.
E arriviamo così alle elezioni del febbraio scorso. In questo caso il risultato prodotto dalle urne è ancora più complesso e contraddittorio, anche a causa dell’entrata in scena di un ‘terzo soggetto’ ossia il “Movimento 5 Stelle” del comico e ‘bloggueiro’ Beppe Grillo che conquisterà un quarto dei voti imponendosi come seconda forza in Parlamento.
La rielezione di Giorgio Napolitano a Presidente della Repubblica e quella di Enrico Letta alla Presidenza del Consiglio sembravano indicare una strada inedita per la politica italiana degli ultimi venti anni: a fronte di un risultato ingovernabile e di un probabile nuovo ritorno al voto, prevalse per la prima volta il senso di responsabilità da parte dei due principali partiti italiani – il Partito Democratico e il Popolo della Libertà – che fino a pochi giorni prima si erano confrontati duramente su opposti schieramenti parlamentari.
Il ‘governo Letta’ nasceva così sulla spinta e grazie al forte appello del Presidente della Repubblica: l’imperativo era quello di procedere ad una necessaria riforma della legge elettorale (onde evitare il riproporsi delle maggioranze disomogenee e la conseguente instabilità) e contemporaneamente ad affrontare la grave crisi economica con alcuni provvedimenti in grado di restituire fiato alle imprese, sostegno all’occupazione giovanile e risorse alle famiglie e quindi ai consumi.
Tutto sembrava funzionare fino a quando è arrivato in Parlamento il ricatto del leader del PDL, Silvio Berlusconi; a causa della condanna in terzo grado di giudizio per frode ed evasione fiscale ai danni dello Stato italiano, infatti, il Senato ha dovuto prendere atto di quanto deciso dalla Magistratura, procedendo così alla votazione della decadenza di Berlusconi dal mandato di Senatore. Tale ‘atto dovuto’ ha scatenato l’ira di Berlusconi e dei cosiddetti “falchi” del suo partito, disposti a fare saltare tutto in aria – governo ‘in primis’ – nel tentativo di impedire tale decisione.
Ancora una volta una parte della classe politica italiana antepone interessi di carattere personale al bene comune e all’interesse del Paese.
Non sappiamo come questa vicenda si concluderà e per quanto tempo ancora il governo di Enrico Letta e delle cosiddette ‘larghe intese’ durerà; probabilmente questa ampia e innaturale coalizione è gia morta e la logica dovrebbe portare presto a nuove elezioni politiche.
Sarebbe gravissimo però se a tali elezioni si arrivasse senza avere riveduto una legge elettorale che, oltre a non garantire continuità e stabilità all’azione di governo, continua a mettere nelle mani di pochi uomini la scelta di chi siederà tra i banchi di Palazzo Madama e Palazzo Montecitorio, sedi del Parlamento italiano. Con eccezione degli eletti all’estero, infatti, i parlamentari italiani vengono scelti non in base al voto di preferenza dell’elettore, ma alla posizione in una lista decisa dai vertici dei partiti. Cambiare questa legge e, possibilmente, affrontare la crisi economica e il semestre italiano di conduzione dell’Unione Europea (previsto per il 2014) dovrebbe essere l’impegno minimale di questo Parlamento, al di sopra di qualsiasi altro interesse personale o di partito.
Riuscirà la politica italiana a ritrovare il ‘minimo comun denominatore’ del buon senso e della responsabilità? Mentre scriviamo non c’è dato saperlo. La risposta comunque non tarderà e questo 2013 si concluderà con una chiara indicazione di cosa succederà nell’anno a venire.