A quattro mesi dalla strage del treno: uno scenario di distruzione. E oggi un corteo per ricordare. Nella via della morte tutto è grigio: prime ruspe al lavoro, ma è come se il tempo si fosse fermato
VIAREGGIO — Un piccolo quadro appeso a una parete, una scatola di latta su un cassettone, i pacchi di pasta ancora dentro la credenza di una cucina. Ma soprattutto le sagome annerite delle case, gli infissi carbonizzati, gli avvolgibili fusi. Via Ponchielli si è come fermata. Se non fosse per il cielo terso tipicamente autunnale e per i cumuli di macerie che sono stati rimossi, potrebbe sembrare l’indomani della tragedia. Invece sono passati già quattro mesi esatti e stasera Viareggio si unirà l’ennesima volta in corteo per ricordare e chiedere giustizia. Da lunedì scorso le ruspe sono al lavoro per fare una nuova rete fognaria e ripristinare centraline elettriche e tubature. Quel poco che l’incidente ferroviario ha lasciato dietro di sé, comunque, è ancora quasi tutto lì, immobile. Oltre la metà degli edifici saranno demoliti. Alcuni verranno ricostruiti e altri, quelli a ridosso dei binari, lasceranno il posto ad un parco della memoria.
REPORTAGE DALLA ZONA ROSSA, 4 MESI DOPO – Nella «zona rossa», quella investita in pieno dall’esplosione che seguì alla fuoriuscita del gas da uno dei vagoni cisterna, si entra solo dopo aver lasciato un documento a degli uomini in divisa. «Non si può camminare da soli e non si può andare all’interno delle abitazioni», dice una delle due guardie scandendo una formula imparata a memoria. Poi indica un cartello: a stento si riesce ancora a leggere «via Amilcare Ponchielli». Molte case non hanno più i portoni; le finestre, se ci sono ancora, hanno i vetri rotti. Si possono vedere gli interni, le scale che salgono ai piani superiori, i pochi mobili che la furia del fuoco ha risparmiato. Percorriamo i primi metri senza poter distinguere un edificio dall’altro: è tutto grigio. L’uomo in divisa a un certo punto si ferma, sulla sua sinistra le abitazioni si interrompono lasciando scorgere i binari (Ferrovie dello stato ne toglierà due e costruirà un muro che servirà a proteggere la via Ponchielli di «domani»). Indica il vuoto di fronte a sé: «Lì c’era la casa della marocchina », dice come se volesse anticipare la nostra domanda. La marocchina è Ibi, 21 anni, che il 29 giugno riuscì a mettersi in salvo scappando prima che il fuoco le uccidesse l’intera famiglia. Della sua casa sono rimaste le scale; appoggiato alla recinzione, davanti ai gradini, c’è il mazzo di fiori che è venuta a lasciare qua il 17 ottobre scorso dopo essersi sposata
UNA STORIA FRA LE STORIE – La sua non è l’unica storia di una vita che riparte dopo essere stata stravolta: nello stesso stabile di Ibi viveva anche Mario Pucci, 80 anni, morto insieme a Ramona Baudescu, la donna rumena che gli faceva da badante. Aniel Puiutz, suo figlio, 23 anni, quel 29 giugno era a Bistrita, 80 mila abitanti nel nord della Romania. «Quando mi hanno chiamato per dirmi che mia madre era morta non ci credevo. Ho spaccato tutto». Oggi riesce a parlarne senza difficoltà, è determinato: vuole fare il vigile del fuoco «perché non succeda ad altri quello che è successo alla mia mamma ». L’assessore al Sociale del Comune di Viareggio Vittorio Fantoni gli ha promesso di aiutarlo. Intanto, ogni mese per nove mesi, il Comune gli manderà 550 euro. Aniel per un anno e mezzo ha lavorato in Italia come operaio in una ditta di Bozzano, a Massarosa. Oggi è disoccupato ma qua non ci vuole tornare: «Lì non ho più nessuno, solo brutti ricordi — racconta — Mio padre è in Spagna e lo sento pochissimo. Almeno qua in Romania c’è la mia ragazza. È qua che voglio fare il pompiere». Ogni numero civico in via Ponchielli è una storia. E quasi sempre sono storie dolorose. Per questo anche se entro fine anno dovrebbero partire i primi lavori di ricostruzione, tre famiglie non ne vogliono sapere di tornare dove hanno visto morire amici, vicini, parenti. «Ma non abbiamo scelta — spiega Paolo Crivello, civico 30, che parla a nome del comitato degli Abitanti di via Ponchielli — perché con i contributi previsti dall’ordinanza del Commissario Martini, a Viareggio non compriamo nulla».
I RESPONSABILI DELL'INCIDENTE? – Nel documento è scritto nero su bianco: «Considerato che trattasi di contributo e non di risarcimento è esclusa ogni valenza risarcitoria». Gli indennizzi arriveranno solo una volta individuati i responsabili dell’incidente. Il Ministro per le Infrastrutture Altero Matteoli ha accolto la richiesta degli abitanti di preparare una legge per gli indennizzi, ma i tempi sono quelli dell’iter parlamentare: lunghissimi. Al civico 25, lato ferrovia, c’è la casa di Marco Germani, 36 anni, uno dei pochissimi di questa parte di via Ponchielli ad essersi salvato. Sua madre è stata dimessa dall’ospedale Versilia solo 9 giorni fa. Lui, stando al piano attuale, andrà a vivere altrove perché al posto della sua abitazione, come di quella di Ibi e di tutte le altre a ridosso dei binari, sorgerà un parco della memoria (il cui nome, spiega Lunardini, «verrà scelto tramite un concorso internazionale di idee»). Forse verrà realizzato anche un piccolo museo dove raccogliere i messaggi e gli oggetti che ancora oggi sono nel «Giardino del pianto», sotto a un gazebo a pochi metri da via Ponchielli. E poi le aziende: erano sei nell’area colpita dall’esplosione, alcune sono state cancellate del tutto, delle altre rimangono i resti. Un negozio di parrucche e uno di termoidraulica, un laboratorio di lucidatura del marmo, una carrozzeria, uno studio di registrazione e una ditta che affittava ponteggi. «Ad oggi paghiamo ancora le rate dei mutui», sospira Gianni Bini, ma la Regione Toscana si sta muovendo per congelarli.
OGGI IL CORTEO – Ieri, per ogni abitante di via Ponchielli Esselunga ha messo a disposizione 600 euro di spesa nei propri supermercati. Uno dei tanti gesti di solidarietà arrivati da ogni parte in questi mesi. Oggi, oltre al corteo che partirà da Piazza Mazzini per arrivare in via Ponchielli, sarà celebrata una messa alla Misericordia. Per ricordare le 31 vittime, ma per stringersi anche attorno a chi, dopo quattro mesi, è ancora ricoverato: non solo Marco Piagentini, padre del piccolo Leonardo (a Padova), ma anche Claudia Frasca (Cesena), Elisabeth Silva (Cisanello di Pisa), Ihsan Ulhyq (Milano), Chiara Maccaroni (Torino).
Fonte: www.corriere.it